La caduta degli Dei del soft power americano? Un ciclopico cambio di potere nell’era Trump. Dagli esiti molto incerti

Prendo spunto dall’ottimo articolo di Massimo Gaggi sul Corriere della Sera, intitolato “Hollywood e Silicon Valley. Le crepe nel sogno americano“. Due casi hanno scosso la California, un tempo fabbrica dei sogni e dell’ottimismo a stelle strisce: il caso Weinstein nella mecca del cinema (la storia di un potentissimo produttore cinematografico, caduto nella polvere, accusato di pesanti molestie sessuali e perfino stupri ai danni di stelle del cinema che – per anni – hanno taciuto i soprusi di cui sono state vittime); il Gender Gap, che spazia dalle differenze salariali (a svantaggio delle donne, piaga che assilla non solo la Silicon Valley ma la stessa Hollywood) al caso dell’ingegnere di Google autore di un manifesto anti diversità, licenziato dal motore di ricerca per aver affermato in una mailing list interna che il divario nella tecnologia tra uomo e donna dipende da presunte «differenze biologiche» (ma difeso dal presidente Donald Trump, assurto a emblema del machismo americano, che invece se la prende contro l’approccio politically correct dei radikal chic). Gaggi, inoltre, punta il dito anche contro le gravissime interferenze russe nella campa elettorale che ha portato proprio Trump alla più alta carica delle istituzioni USA: la macchina della propaganda ha sfruttato l’advertising in vendita su Facebook e Google per diffondere fake news, bufale e fango per impedire a Hillary Clinton di vincere alle Presidenziali USA.

Trump nella campagna pubblicitaria di Twitter in Giappone
Trump nella campagna pubblicitaria di Twitter in Giappone

Stiamo assistendo alla caduta degli Dei del soft power americano

Sicuramente si tratta delle prime vere crepe nella casa di cristallo dell’American Dream: il sogno americano era incarnato da star professionali, dalla bellezza patinata ed irraggiungibile, ma soprattutto contraddistinte dallo spiccato talento di infondere speranza in un mondo più giusto (pensiamo alle campagne Onu di Angelina Jolie, una delle attrici molestate che a suo tempo non denunciò il bruto di Hollywood). Poi, il Don’t be evil di Google ha aggiunto nuove frecce all’arco del Soft Power californiano, insieme all’umanesimo tecnologico di Apple, alle iniziative anti-divario digitale di Facebook (attraverso Internet.org): in Silicon Valley le aziende hanno saputo costruirsi un’immagine positiva attraverso le campagne contro l’omofobia, a sostegno delle unioni civili e i matrimoni gay e della diversity in ufficio, ma anche grazie agli impegni a favore delle energie rinnovabili contro chi nega i cambiamenti climatici (ricordiamo Al Gore e il suo film-manifesto sul Climate Change, l’addio di Facebook ai data-center a carbone, gli sforzi di Apple per realizzare device sempre più green e per utilizzare l’energia pulita; proprio nei giorno scorsi Google ha annunciato la transizione alle rinnovabili al 100% entro fine 2017).

E, proprio mentre si entra nel vivo della presidenza di Donald Trump – tycoon che non ha mai amato la Silicon Valley, troppo incline a sostenere il partito Democratico -, a sconquassare la California, già in ginocchio a causa dei devastanti incendi (40 i morti già accertati, centinaia di dispersi), con  scosse più forti del temuto Big One, sono giunti – come fulmini a ciel sereno – il caso di Harvey Weinstein (grande supporter dei Clinton e degli Obama, finanziatore di Michael Moore, colui che sosteneva Barnie Sanders e comunque additava Trump come il male assoluto, definito “God” da Maryl Streep, una delle acerrime nemiche di Trump) e il nuovo Russiagate di Facebook e Google. E sullo sfondo scricchiolano le campagne pro diversity e Fattore D: ma perché donne influenti, vere celebrità, che nessuno pensava dovessero ancora stendersi sul Divano del Produttore, hanno atteso vent’anni per denunciare le violenze subite? Come possono mantenere l’autorevolezza se sono state così ipocrite per decenni?

Il giorno della verità della Silicon Valley potrebbe essere il primo novembre, quando le commissioni Intelligence della Camera e del Senato ascolteranno Facebook, Twitter e Google per mettere un punto fermo sulle indagini sull’eventuale interferenza russa nella campagna elettorale.

Perché la caduta degli Dei avviene mentre Donald Trump cerca di impimere una aggressiva svolta alla sua presidenza, dopo aver presentato un’attesa – ma controversa – riforma fiscale che strizza l’occhio proprio ai giganti della Silicon Valley che parcheggiano offshore i loro ricchissimi forzieri?

Ciò a cui stiamo assistendo è ben più di un terremoto: è un repentino, ciclopico spostamento di Potere. Lontano dalla California democratica.

Riuscirà a Trump questa campagna? Dubito, perché tutte le campagne anti tecnologiche, sponsorizzate da certa politica, non funzionano, non raccolgono audience, ma sanno di luddismo e fake, ma soprattutto sono basate su false premesse. Propaganda che arriva dai politici di Washington. Le aziende IT sono amatissime perché i loro prodotti promettono e permettono di vivere meglio. Sono maggiori i benefici che le aziende tecnologiche apportano alla società rispetto agli svantaggi arrecati (perfino i robot non rubereranno il lavoro, anzi genereranno più indotto).

Il mondo della tecnologia è tutt’altro che perfetto, ma è migliorabile. Google e Facebook non solo stanno attirando l’attenzione, ma anche guadagnando la sfida dell’advertising: nessun cambio è visibile all’orizzonte.

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