Intervista a Gianni Riotta (giornalista): Intelligence dei dati, a che punto siamo?

Scenari Digitali intervista Gianni Riotta, giornalista, inviato speciale de La Stampa, cofondatore di Catchy, che ci consegna importanti considerazioni ed esperienze dirette sul tema della comunicazione digitale ai tempi dei Big data e dell’intelligence dei dati, della propaganda nell’era delle Fake News, dopo lo scandalo Cambridge Analytica, società britannica di analisi, accusata di aver raccolto i dati di oltre 50 milioni di utenti e di averli usati per influenzare sia le ultime elezioni presidenziali americane che il referendum sulla Brexit.

Gianni Riotta (giornalista): Intelligence dei dati, a che punto siamo?
Gianni Riotta (giornalista): Intelligence dei dati, a che punto siamo?

Scenari Digitali: Facebook e anche Twitter sono da giorni in caduta libera a Wall Street, a causa dello scandalo Cambridge Analytica. In attesa dell’intervento del Ceo di Facebook Mark Zuckerberg, e quindi di un chiarimento della vicenda che campeggia sulle prime pagine dei giornali in tutto il mondo, come mai i media sono sorpresi e perfino indignati della scoperta che si utilizzino i big data, il micro-targeting ed altri strumenti data-driven, al fine della profilazione degli utenti sui social media anche in ambito politico? In fondo, non avevamo già letto il manifesto “You are not the gadget” di Jaron Lanier, sullo scambio fra gratuità di un servizio vs. privacy degli utenti trattati come merci invece che come cittadini consapevoli?

Gianni Riotta: I media non esistono, esistono varie testate e Tv, buoni media e cattivi media. Il problema, di cui mi sono già occupato negli ultimi cinque anni, anche studiando come funziona Cambridge Analytica, è in realtà quello dell’intelligence dei dati (il data intelligence, intorno al monitoraggio e all’analisi delle conversazioni sui social network su temi-chiave). La Rete ha angoli di trasparenza e opachi, è come una metropoli sterminata, con quartieri per bene ed altri malfamati. Ci sono poteri legittimi, ma anche poteri occulti e criminali.

La verità è che i monopoli (come Amazon nell’e-commerce, Google nel search engine, Facebook nei social network eccetera) sono cresciuti con grande rapidità, senza sviluppare la cultura necessaria per gestire questa crescita esponenziale. Zuckerberg ha co-fondato Facebook quando era giovanissimo al secondo anno di Harvard e mai si sarebbe potuto immaginare che, al decimo compleanno, sarebbero arrivati Troll russi a manipolare e ad “hackerare” le elezioni presidenziali americane.

La verità è che la Rete soffre di una malattia di crescita.

Scenari Digitali: Obama è stato un innovatore nell’utilizzo dei big data per vincere un’elezione presidenziale negli USA, ma l’ex Presidente americano non arrivò mai a violare la privacy dei cittadini. Invece diverso sembra il ruolo che si sarebbe ritagliato Steve Bannon nell’elezione di Trump, da quanto sta emergendo dalle rivelazioni giornalistiche sul caso Cambridge Analytica. Ad indignare è solo l’assenza del “consenso informato”? Oppure si teme che i social network, già padroni della Rete (basta guardare il market share di Facebook nel mercato pubblicitario digitale!), abbiano oltrepassato la frontiera? In una domanda: i monopolisti sono andati oltre? E siamo in grado di delineare uno scenario dell’era dell’innovazione tecnologica in ambito politico?

Gianni Riotta: Quando ci iscriviamo a un servizio online, ci appaiono 5-6-7 videate, in cui l’app o il servizio ci chiede se diamo il consenso (o meno) all’utilizzo dei dati personali ecctera, nel rispetto della privacy e della normativa vigente. A parte gli avvocati che si occupano di cause e class action, nessun utente ha mai letto il contenuto di queste videate con cui viene gestito il “consenso informato”. A noi interessa usare Gmail, Facebook, Twitter, Snapchat: non ci interessa sapere che cosa sarà dei dati di cui abbiamo, velocemente ed acriticamente, concesso l’utilizzo.
Tempo fa, alla Columbia University, diedi una tesi sullo stato dei big data e della privacy, ma ancora non era chiaro che sarebbero state poche aziende e pochi stati ad avere in mano un potere immenso di cui in pochi, tranne gli esperti, sono consapevoli. I cittadini non si preoccupano più di tanto di questi temi, l’importante è che funzionino l’app scaricata o il servizio digitale a cui si sono iscritti.
Cosa significa tutto ciò? È tempo che cambi il modo di gestire questa enorme mole di dati: vanno implementate nuove tecnologie di blockchain e d’intelligenza artificiale (AI), dunque più tecnologia e non meno, affinché l’utente torni proprietario dei propri dati personali e sensibili. oggi dati in cambio di un servizio digitale gratuito
Quello che voglio dire è che la tecnologia ha camminato più velocemente della legge, ma è l’ora di rendere i cittadini consapevoli, senza perdere la comodità dell’uso delle tecnologie che ci semplificano la vita.

La metafora è quella del Far west o del ponte levatoio, se vogliamo. Prendiamo il GDPR che entrerà in vigore nell’Unione europea (UE) fra poche settimane e promette più privacy e sicurezza per i cittadini europei: ma siamo sicuri? La normativa UE sui dati è molto stringente, perfino esagerata da un certo punto di vista, senonché “fatta la legge, trovato l’inganno”, potrebbe perfino riaprire le porte a nuove ondate di spam e di truffe online di cui nessuno sentiva la necessità e che saranno un costo per le imprese.

Potremmo riassumere il concetto così: qual è la differenza fra il “pirla del 2013” e il “pirla 2018”? Quello del 2013 avrebbe spalancato le porte a tutti, quello del 2018, spaventato dallo scandalo di Facebook e Csmbridge Analytica, grida al lupo ed oggi vorrebbe regolare la Rete come se non ci fosse un domani. Ma, in realtà, la legge dovrebbe regolare la rete senza demonizzarla.

Appunto: torniamo all’efficace metafora del far west o del ponte levatoio.

Scenari Digitali: Sotto il profilo dell’innovazione, l’Italia sembra sempre un Paese emergente che rischia perfino di perdere la partita digitale. Il nostro Paese appare sempre un passo indietro, ma se passiamo alla politica, le cose cambiano: nell’utilizzo dei dati nella politica del XXI Secolo forse siamo stati un laboratorio d’avanguardia con la Casaleggio Associati, come siamo stati un laboratorio negli anni ’80-’90 con le Tv commerciali e l’ascesa di Berlusconi; e lo fummo quasi un secolo fa, nel decennio ’20-’30, nell’utilizzo della propaganda via radio, strumento di comunicazione di massa abilmente sfruttato dal dittatore Mussolini durante l’ascesa del fascismo. Chiusa parentesi, possiamo vedere affinità o differenze fra il ruolo della Casaleggio Associati (e della piattaforma Rousseau) con Cambridge Analytica?

Gianni Riotta: NO, perché non sappiamo nulla della Casaleggio Associati: non sappiamo chi li paga, cosa faccia, quali dati gestisca e come li gestisca. Non sappiamo nulla della Casaleggio Associati. Niente. Paradossalmente, sappiamo più di Cambridge Analytica di cui, ripeto, mi sono occupato più di cinque anni fa, e non dell’italiana Casaleggio Associati. Cercai di intervistare Roberto Casaleggio, ma lui disse “non discuto con te”, poi purtroppo non c’è stato il tempo. Ma a lui o a suo figlio Davide, avrei voluto dire una semplice cosa: la rete è un campo di battaglia in cui si affrontano tutti – una piazza – perfino un postribolo o un quartiere malfamato, ma non è un tuo strumento, perché nessuno possiede la Rete.
Stavamo online prima che il giovane Casaleggio emergesse nel panorama politico italiamo, staremo in Rete anche dopo di lui.
Davide Casaleggio dovrebbe invece valutare che fine sta facendo Nix (ndr, il capo di Cambridge Analytica), che, dopo la cacciata e la messa al bando della sua società da Facebook, sta affrontando una grossa problematica sia giuridica che economica.

Insomma il problema è quello della trasparenza vs. opacità.

Scenari Digitali: Capitolo Fake news, di cui Lei si occupa anche in un importante gruppo di lavoro dell’Unione europea (UE). Le “bufale” rafforzano solo la nostra Filter Bubble in cui siamo immersi? Oppure i tentativi di manipolare il consenso hanno un impatto ancora tutto da decifrare e forse più subdolo e pericoloso? Oltre allo sviluppo del senso critico e al rafforzamento degli strumenti culturali a disposizione dei nostri concittadini nelle nostre società, esistono altre difese contro la diffusione di falsità/ bufale/ black propaganda in una campagna elettorale in una società aperta come una democrazia occidentale?

Gianni Riotta: Il tema è diverso rispetto a quanto abbiamo affrontato finora, perché le fake news nascono dal crollo di fiducia dei cittadini nelle istituzioni, nella scuola, nel metodo scientifico, dunque nella scienza eccetera. Le fake news sono il sintomo, non la malattia, come per i no vax e il morbillo. Nel delicato tema della salute dei figli, c’è differenza fra il parere di un grande medico e scienziato e l’opionone del primo blogger. Per superare il problema della diffusione delle fake news, bisogna prima ricostruire la fiducia nelle istituzioni – nella scuola e nella scienza, bisogna ripartire anche dall’autocritica di giornalisti ed intellettuali, puntare sulla cultura, insegnare già a scuola che Internet non è enciclopedia, non c’è il giornale di Harry Potter; inoltre bisogna fare educazione digitale nelle aule per imparare a prestare attenzione all’informazione di qualità. Oggi l’Unione europea (UE) investe una cospicua parte dei fondi nell’agricolutura, nella lattuga e nella pesca, quasi tutto si disperde in mille rivoli, invece di investire nella scuola o nell’informazione di qualità, nel training dei giornalisti, nella cultura digitale, premiando i buoni media con crediti fiscali ed altri strumenti innovativi. È così che si difendono i buoni media dai media cattivi, così il cittadino informato impara a distinguere le news dalle bufale.

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