I tre jolly nella manica di Huawei e Pechino

Il congelamento di 90 giorni del bando a Huawei – che ieri ha fatto respirare le Borse mondiali – è nella logica delle cose. Nessun uomo è un’isola, tanto meno le aziende, frutto di intrecci profondi intessuti in decenni di globalizzazione.

I tre jolly nella manica di Huawei e Pechino
I tre jolly nella manica di Huawei e Pechino

I guadagni di Apple potrebbero crollare del 29% a causa di una rappresaglia cinese, se Pechino rispondesse con il bando a Huawei con un’analoga messa al bando di iPhone, spiega Goldman Sachs. Ma non solo. Pechino ha tre jolly nella manica.

Anche senza ricorrere a rappresaglie, il titolo di Apple calava ieri dello 0,5%. Ecco i fatti. Le terre rare, i 17 elementi chimici della tavola periodica senza i quali nessun vendor può costruire gli smartphone (ed altri dispositivi tecnologici), sono la vera arma di Xi Jinping. Il Presidente (a vita) cinese ha visitato l’impianto di terre rare a Ganzhou, nella provincia di Jiangxi, dove si produce il 71% di terre rare al mondo (percentuale scesa dal 97%, ma il monopolio è ancora saldamente in mani cinesi). Non solo: il litio, l’elemento base delle omonime batterie, è prodotto da due aziende cinesi (Tianqi Lithium e Ganfeng Lithium), come l’80% del cobalto è made in China, grazie agli accordi di estrazione in Congo. E stiamo parlando di elementi chimici fondamentali per realizzare prodotti hi-tech, e di cui la Cina detiene – de facto – il monopolio a livello globale. Rompere con Pechino potrebbe voler provocare una crisi pari a quella energetica del 1973, una “bomba ad orologeria” sull’economia mondiale. Di cui nessuno sente vagamente bisogno, in un’era già dominata dall’incertezza e dal caos geo-politico.

Capitolo Apple – Foxconn: circa la metà degli iPhone distribuiti in tutto il mondo vengono prodotti in una fabbrica a Zhengzhou, in Cina. Per aggirare le barriere commerciali, Foxconn valuta da anni di spostarsi altrove, India compresa, ma i traslochi non sono mai facili. Una delle carte vincenti di Foxconn sono le sue operaie cinesi, dalle dita affusolate, in grado di assemblare i device con precisione millimetrica se non nanometrica: non si rimpiazzano dall’oggi al domani, in attesa dei robot. Ed Apple sembra un vero e proprio ostaggio della “fabbrica dell’hi-tech”. Non produrre più gli iPhone da Foxconn potrebbe perfino far raddoppiare il prezzo degli smartphone targati Apple: li porterebbe fuori mercato, almeno in un primo momento.
Il colosso, fondato da Steve Jobs, che tuttora trae la maggior parte dei guadagni (il 63% per l’esattezza) dei profitti dall’iPhone, è – de facto – uno “scudo aziendale” per Pechino.

Aptoide: è la migliore alternativa a Google Play Store. Con 900 mila apps, tutte applicazioni compatibili con Android. Tutto ciò che è open source si può scaricare da Aptoide. Gli smartphone Huawei potrebbero – già domani – sostituire Google Play Store con Aptoide, e nessun utente consumer (tranne i professionisti) potrebbe accorgersene. Signori, è il bello dell’Open Source. La minaccia di Google è un’arma spuntata per Huawei, ma un boomerang per Google, che rinuncerebbe (a malincuore) a un mercato con un 1,5 miliardi di potenziali consumatori. Quando invece avrebbe fatto (non dico carte false ma…) di tutto per ritornare in Cina, dopo l’addio di circa nove anni fa. Le trattative con l’application portoghese sono la vera Exit Strategy, l’atteso piano B, dell’azienda cinese, numero due del mercato smartphone. Inoltre, da anni Huawei lavora a un suo sistema operativo, un OS pronto a prendere il posto di Android. Qualcosa si è già visto sui suoi smartwatch.

Vodafone ha sospeso i preordini dei nuovi modelli, perché una Telco ha bisogno di certezze e non può operare in un clima schizofrenico. Ma Huawei potrebbe già oggi sostituire Google Play Store con Aptoide e rassicurare i clienti finali.

Siamo sicuri che il Presidente Trump abbia fatto bene i suoi conti? E Google? Esprimiamo i nostri dubbi. Ma alcune sono certezze: è la potenza dei Fatti contro l’effimera vacuità delle Fake News.

P.S.: Huawei dovrebbe aprire trenta Huawei Store nel mondo, per bypassare i carrier (impauriti dal bando di Trump) e rassicurare i clienti. My 2 cents.

Leggi anche: Il caso Huawei (fra terzo OS e disruption della supply chain) e l’Etica Hacker

Mirella Castigli (co-autrice di Mela Marcia)
@CastigliMirella

Leave a Reply

Your email address will not be published.