App Immuni e le altre. La verità, vi prego, sul Contact-Tracing e sullo Stato di Diritto (e non di Polizia)

C’è un gran parlare, anche da parte di chi nulla sa di tecnologia, dell’urgenza dell’app Immuni di Contact-Tracing per inaugurare la Fase 2, essendo una fase 1S, un minor update, quella che si apre dal 4 maggio.

Ho già raccontato sul blog Malatempora la strategia del sud-est asiatico (Sud-Corea, Singapore, Taiwan e Hong Kong) basata sull’approccio delle “Tre T”: Test, Trace, Treat (ovvero: fare tamponi, tracciare e poi separare i sintomatici – ma anche gli asintomatici – dai sani nei Covid-Hotel per spezzare le catene del contagio).

Al momento è inutile che tanti Soloni si sgolino per convincerci a scaricare l’app Immuni finché non ci spiegano nulla dell’applicazione. Perché tornare liberi si deve: ma da cittadini, non da sudditi. Ecco come, scendiamo nei dettagli.

App Immuni e le altre. La verità, vi prego, sul Contact-Tracing e sullo Stato di Diritto (e non di Polizia)
App Immuni e le altre. La verità, vi prego, sul Contact-Tracing e sullo Stato di Diritto e non di Polizia (nella foto l’approccio della Sud-Corea)

Innanzitutto, ora si è scoperto che Immuni si baserà sul protocollo di Apple e Google, quando il sistema sanitario britannico (NHS) ha rifiutato di seguire questo approccio, che invece sta convincendo la Germania dopo una brusca inversione a U.

L’app Immuni di Bending Spoons (start-up fondata da giovani italiani, sostenuta con investimenti cinesi, che meritano un ulteriore approfondimento), realizzata a titolo gratuito e senza fini pubblicitari, sfrutterà gli smartphone su cui verrà installata per generare sui dispositivi un codice identificativo anonimo, da scambiare via Bluetooth e questo “scambio” fra smartphone di passanti per strada permetterà di inviare Alert. Significa che verranno allertati gli smartphone, che in un certo intervallo temporale sono entrati in contatto (perché il Bluetooth ha un certo raggio d’azione, non oltre quello) con il dispositivo di un soggetto infetto (rivelato tramite e test), nel rispetto della privacy. I possessori di smartphone, dotati di apposita applicazione, verranno avvertiti attraverso una segnaletica a colori: un semaforo con varie sfumature dal giallo al rosso, passando anche per l’arancione.

Ma l’App Immuni, per contenere la diffusione del virus e contenere la temutissima seconda ondata, non vuole limitarsi a inviare gli Alert ai cittadini, ma segnalare gli “scambi ravvicinati e potenzialmente pericolosi” allo Stato: infatti, anche un cittadino allertato, potrebbe non comportarsi responsabilmente, avvisando il medico di famiglia, ma potrebbe cercare di sottrarsi alle sue responsabilità che sono aumentate durante la pandemia, e spaziano dalle regole igienico-sanitarie (lavarsi spesso le mani, usare la mascherina…) al distanziamento sociale. Per evitare questo vulnus, che renderebbe velleitaria l’app, serve un sistema  di controllo sanitario sui potenziali infetti. Insomma, si scopre che non c’è solo il front end, ma soprattutto il back end.

Ma qui la strategia delle Tre T all’italiana mostra le sue lacune: l’eccessiva parsimonia nel fare i test e l’assenza dei Covid Hotel. A che serve installare un’app, se i tamponi vengono effettuati col contagocce, per la grande difficoltà a processarli, emersa fin dall’inizio dell’epidemia? Ammettiamo che un utente incontri un potenziale infetto: deve rimanere in quarantena, ma per quanto, se i tamponi non vengono svolti con celerità? Non si rischia un lockdown ingiustificato nel caso in cui il contatto non abbia trasmesso alcun virus? E poi, se uno risulta essere un asintomatico (contagiato ma privo di sintomi) non dovrebbe essere ospitato in un Covid Hotel, per evitare di infettare il resto della sua famiglia? Nel Paese dei Tamponi-Aspettando-Godot (non sono stati effettuati ai medici e al personale sanitario all’apice della pandemia) lo scetticismo non va sottovalutato: si teme di rimanere in un “limbo indefinito” per almeno 14 giorni o perfino 28, solo per aver effettuato il download dell’applicazione. Invece, trascorso il tempo di incubazione, il soggetto entrato in contatto, a distanza ravvicinata, dovrebbe poter accedere al tampone e a dispositivi di diagnostica, per evitare rischi di quarantena-ad-libitum.

Inoltre, lo scetticismo sull’efficacia si trasforma in vero e proprio terrore del Tecno-Controllo: dopo gli scandali planetari sul Patriot Act a stelle e strisce, giustificato inizialmente con la primazia della Sicurezza sulla Privacy ai tempi del terrorismo post-11 settembre, liberali e libertari si domandano: il sistema, che per le stringenti normative europee sulla Privacy (vedi Gdpr eccetera) deve essere solo volontario, avrà anche un sistema di opt-out a fine pandemia? Oppure, una volta messo a punto un faraonico sistema di tracciamento, non è che lo Stato si tramuti in un Leviatano che intenda mantenere in piedi un’app che comunque monitora gli spostamenti? Neanche la promessa del più blindato anonimato suggerisce sufficienti garanzia. L’app richiede prudenza e cautela.

Il terrore di passare da uno Stato di Diritto a uno Stato di Polizia (vedi la Cina che utilizza l’Artificial Intelligence per elargire una patente a punti ai Cittadini, per distinguere quelli modello dagli inaffidabili) fa breccia anche fra le persone più propense a frenare l’epidemia con mezzi non convenzionali.

Il sistema di dati di prossimità (tramite tecnologia bluetooh), invece della geo-localizzazione dei singoli utenti (via GPS), è meno invasivo e meno rui-orientabile a fini polizieschi, anche se una parentesi sui cyber-attacchi via bluetooth meriterebbe un approfondimento. Inoltre si spinge per un sistema di raccolta dati decentralizzato, con dati memorizzati negli smartphone degli utenti, rispetto a un sistema centralizzato, presso un server unico, che farebbe gola a qualsiasi potenziale dittatore. Capitolo Open Source: va rilasciato il codice sorgente, così da poter verificare il funzionamento dell’app ed eventualmente correggere errori (od orrori) di programmazione o progettazione.

Trasparenza, affidabilità, necessità e proporzionalità: questi sono i requisiti a cui si dovrebbe ispirare un’app per contrastare una pandemia e farci entrare nell’auspicata Fase 2. E non in un Panopticon, un Incubo Carcerario, dove basta un’app a chi aspira ai Pieni Poteri. E, in Italia, di questi energumeni con siffatte fantasia c’è purtroppo la fila.

Prossimamente faremo un raffronto fra le varie App europee, confrontando finalità, architettura, approccio degli sviluppatori, per valutare le App di Contact-Tracing più efficienti. Perché tornare liberi, dopo settimane di durissima quarantena è un’aspirazione legittima. Ma da cittadini. Non da sudditi. E soprattutto in uno Stato di Diritto, non in uno Stato di Polizia o perfino in uno Stato Totalitario in salsa cinese o autocrazia russa. Modelli da evitare peggio della peste del secolo.

L’altro rischio è quello che illustra bene Vitalba Azzolini in un post sul blog Phastidio: il rischio che una PA arcaica, mai diventata una PA digitale, usi l’app come bacchetta magica che abilita la Trasformazione Digitale quando la Digital Transformation è questione di processi. Il colpo di fulmine un tempo per l’iPhone o per l’App sono Fumo Negli Occhi: un Tecno-Fideismo che viene visto come taumaturgico, ma che non trasforma una Pubblica amministrazione da arretrata a moderna e digitale. L’equivalente del Green Washing, pura apparenza.

@CastigliMirella

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